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I linguaggi dell'esclusione di Yanko González



Yanko González (Santiago de Chile, 1971)è un poeta chileno. È professore di Antropologia sociale e culturale e preside della Facoltà di arti e filosofia della Università di Austral del Cile (Valdivia).

González è un osservatore acuto e spietato; nelle sue opere il confine tra arte e scienza, e nello specifico tra poesia e antropologia, sembra scomparire del tutto.

Metales Pesados (1998), la sua prima opera, può essere letta come il resoconto poetico della sua ricerca etnografica sui giovani emarginati, conodotta tra gli anni ’80 e ’90.

Nella sua seconda opera, Alto Volta (2007), González fa riferimento alla colonia francese di Alto Volta, in Africa occidentale, per approfondire e rivelare forme di xenofobia e di razzismo e altri linguaggi di esclusione.

Nella sua raccolta più recente Elabuga (2011), invece fa riferimento alla cittadina russa di Elebuga, dove la poetessa Marina Cvetaeva si suicidò nel 1941. 

In tutte le sue opere emerge il suo sguardo in grado di percepire forme sottili di disagio e di esclusione. In generale sembra suggerire come il lessico e la sintassi, possano essere delle armi ciniche e spietate. Che escludere sia un gesto molto più semplice di quanto non lo sia includere e soprattutto molto più incosciamente praticato
 
Traduzioni italiane basate sulle versioni originali e sulle traduzioni inglesi di Stephen Rosenshein


Per esempio

Nel cimitero del villaggio si leva un vecchio tasso,
ogni primavera s’ingemma nuovamente:

i vecchi passaporti non possono farlo, mia cara,
i vecchi passaporti non possono farlo
W. H. Auden

Vogliono che me ne vada ma io non voglio
così gli ho detto me ne vado
ma dal primo
al quinto passo
loro mi sono corsi dietro
per stirare la loro aria
scavare la loro fossa
dove loro si cambiano i costumi.

Anche ieri
l’ho capito chiaramente
che volevano che me ne andassi
era di questo che discutevano mentre badavo ai loro figli.

Ho giocato come giocavano loro ad Alto Volta
per esempio
chiamavano la sedia “andare sotto” e “sardina” la porta
il tavolo “superficie” e le scarpe “silla”
allora i bambini gridavano
giallo
aprici la sardina.

Era un gioco e mi dissero di farlo
che dovevo insegnargli le parole
così come avrebbero dovuto essere davvero

per esempio
che inclinare la bocca
lo chiamano
sorriso.


[1999-2011]

Caro Leopold leggila molto, molto lentamente
e credimi non ho altri modi per dirlo.

Se fino ad ora l’hai letta velocemente
ti chiedo di tornare indietro e cominciare dall’inizio.

Non riesco a costringermi a comporre il tuo numero
e consumare quel piccolo respiro che abbiamo perso.

Non sarò quello che arriva, non sarò quello che parte
rimango, così, nel mezzo e vuoto.

Non ti affrettare, non ti fidare della mia brevità
poiché questo giorno triste diventerò lo stesso giorno triste
che non termina mai di essere un altro giorno triste ancora

Mio caro, oggi alle quattro e mezza del mattino
nostro figlio ci ha lasciato. I suoi occhi non mostreranno e sentiranno altro dolore.

Perdonami. Ho perso un corpo che stava per arrivare
e ho perso un corpo che stava per fare ritorno.


Una perla

Con cura risponde “dici bene” quando lo insulti. fa una smorfia quando gli ricordi la morte di sua madre e sputa sul pavimento che hai pulito. dice di avere letto i libri che ti hanno rubato e predice la morte del tuo cane dopo la sua lunga lotta con un cancro. si vanta di intercedere per te e che non smetterà di farlo, che non smetterà mai di intercedere per te per non farti dare un doppio turno. e scrive un appunto in cui ti accusa di perdere tempo nell’organizzazione di fraudolente “campagne sul merito”. ti invita per un caffè per farti presente che ha confuso la z del tuo nome e che ha accusato la persona sbagliata. giura che farà ammenda del suo errore e che giustizia sarà fatta, che vuole suicidarsi. un attimo dopo scoppia in una risata inframmezzata dai tuoi silenzi e descrive la tua faccia dopo il suo spontaneo prenderti in giro. chiede più tempo. e non smette di parlare della esatta percezione del tempo. e dell’essere chiamati hernán soruco cardemil.

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