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étoiles peintes di Pierre Reverdy (Traduzione integrale)


Di un autore tanto misconosciuto quanto prolifico come Reverdy è molto probabile che alcune opere siano assai più dimenticate di altre, o che non raggiungano i livelli di quelle che sono considerate i suoi capolavori. Per Reverdy è molto più facile elencare quelle opere che, oltre ad essere i suoi capolavori, bastano esse sole ad esprimerne la poetica. Poiché, si è già detto, se è vero che ogni autore cerca la sua patria, ovvero quello spazio ideale in cui esprimere la propria arte, è altrettanto vero che il più delle volte è meglio non trovarlo. Reverdy lo fece, invece, e non volle più andare altrove. Tuttavia che un'autore prenda coscienza delle proprie caratteristiche espressive e della propria poetica e che continui ad esprimersi facendo riferimento a questi suoi personalissimi canoni non vuol dire che, sia pure nella apparente monotonia, non valga la pena di essere apprezzato o che non tenda e raggiunga il Bello.
Dopo aver tradotto La lucarne ovale e mentre già avevo iniziato la traduzione non ancora completa di quello che probabilmente è il capolavoro reverdiano, ovvero Les ardoises du toit, iniziai a tradurre un po' per gioco una sua raccolta di prose liriche intitolata Stelle dipinte. L'opera era stata pubblicata nel 1921 con un'acquaforte di Derain e, forse attirato dal nome di un pittore che amo particolarmente, mi misi a tradurla. Solo a traduzione ultimata confrontai la versione del 1921 con quella che l'autore aveva curato per la raccolta Plupart du temps del 1945 a cui tuttora si fa riferimento per le versioni definitive delle sue opere pubblicate tra il 1915 e il 1922.
Dico francamente che ancora mentre la traducevo questa opera mi era sembrata molto fiacca e non era riuscita ad entusiasmarmi se non in qualche episodio. Tuttavia il rimaneggiamento dell'autore aveva apportato poche ma essenziali modifiche. Aveva eliminato tutti i capoversi ed era intervnuto sull'ordine delle liriche che così modificato rendeva più accessibile l'opera e la apriva a nuovi significati o quantomeno li rendeva più chiari e conformi alle consuetudini di Reverdy.
Come capita spesso a chi è costretto, per tradurre, ad addentrarsi nei meandri di un'opera, più ci si addentra nell'opera più l'opera si addentra nell'animo del traduttore che ad essa si lega più per sentimento che per ragione.
Questa opera, ad ogni modo, risulta più che mai reverdiana, già dall'incipit e fino alla chiusura.
La prima lirica, intitolata Porto Vecchio, descrive l'immobilità di un porto, inteso quasi come un non-luogo, in cui tutto è sospeso; l'acqua e la notte stanno la fuori ad aspettare, dice Reverdy poiché presto verrà il momento di partire. La lirica infatti si chiude con la descrizione della mollezza notturna, ma nonostante ciò ogni cosa è sempre pronta a partire con il vento in poppa.
Dunque la prima lirica esprime in maniera mirabile il mondo reverdiano. Questa sua ricerca di momenti immobili eppure pronti ad essere sconvolti, dei marinai della taverna dice le avventure tempestose li mandano alla deriva. Da questo punto di vista la raccolta presenta una grande coerenza per cui mi limito a citare solo pochi altri passaggi e lasciare a chi vorrà il piacere della lettura.
Reverdy racconta un mondo sospeso che, come già individuato per Porto vecchio, viene descritto in una sorta di tensione fisica che fa pensare ai tendini tesi della mano del David di Michelangelo. Nella lirica Tra i due crepuscoli viene descritta una notte dapprima minacciosa, poi sempre più tranquilla poiché si fa pieno giorno, i cuori si riprendono. Dal momento che ogni cosa è rinviata all'indomani. Tutto è ammantato di notte, una notte qua e la ferita di raggi di luce; perché in Reverdy non c'è mai una condizione permanente, il buio in cui non si vede niente; piuttosto ci sono stati momentanei di passaggio da uno stato all'altro (dalla luce all'ombra, ad esempio). Questi momenti vengono dilatati e ne risulta un tempo sospeso. Reverdy inoltre descrive punti di vista ambigui; nella lirica Il rumore delle onde il punto di vista è quello di colui che era giunto fin lì per vedere e non essere visto. Questo stato di incertezza non riguarda solo le persone ma addirittura coinvolge le cose; in Tumulto si legge e allora, per via del vento, i fiori della tappezzeria andarono altrove.
In Dove s'incrociano le strade invece questo precarietà si fa quasi esistenziale; a sinistra si sale per il cammino del cielo, ci suggerisce Reverdy, quasi ad offrirci una possibile redenzione da questo mondo di incertezza, ma, avverte subito dopo che anche per quello non c'è nessuna insegna.
La raccolta si chiude con la lirica Cielo aperto in cui si raggiunge l'apice di questa precarietà e di questo suo procedimento di sospensione di stati momentanei. Infatti il cielo è aperto, incrinato da un lampo, e cosa è un lampo se non un momento in cui una grande forza e una quantità di energia elettrica che si condensano in un istante di luce abbagliante? Ecco la poesia di Reverdy cerca di rappresentare il mondo in quell'istante di luce abbagliante ma anche in questo caso dice Reverdy il mondo alla sua luce è appena intravisto.

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